PIL vs qualità di vita: ripensare il successo di Aziende e Nazioni

Nel panorama economico contemporaneo, il Prodotto Interno Lordo (PIL) è considerato il principale indicatore della salute di un sistema economico. Esso misura il valore monetario totale dei beni e dei servizi prodotti in un Paese, fornendo una visione quantitativa della crescita economica.

Analogamente, molte Aziende misurano il proprio successo attraverso metriche finanziarie come il fatturato e i profitti.

Ma è davvero sufficiente questo dato per misurare “la salute” di una Nazione o di un’Azienda?

In GMA Consulting, da molti anni, riteniamo che il PIL -per un Paese- e il fatturato -per un’Azienda- siano solo due dei molti indicatori di progresso e che forniscano una visione parziale e limitata delle condizioni in cui essi si trovano, poiché non considerano aspetti fondamentali quali il benessere umano, la qualità della vita, la salute, l’istruzione, la libertà individuale, le disuguaglianze sociali, la distribuzione del reddito, la sostenibilità delle politiche adottate e molto altro ancora.

 

Limiti del PIL come misura di successo

Adottando il PIL come metro di misura del “successo” di uno Stato o di un’Azienda, l’obiettivo diventa il mero aumento della produzione e, di conseguenza, la mera e continua crescita economica.
Un modello, quello adottato negli ultimi anni, che non riesce a interpretare i segnali che arrivano dal contesto socio-economico in cui sono inserite le Aziende come, ad esempio:

  • La crescita continua della produttività. Siamo in un mondo lavorativo dove gli strumenti informatici hanno potenziato questo aspetto in maniera esponenziale senza però un miglioramento di uguale entità nella qualità del lavoro.
    L’ISTAT ha rilevato che, nel primo trimestre del 2024, le ore lavorate –utilizzate come misura dell’input di lavoro– sono aumentate dell’1,5% rispetto al primo trimestre del 2023[1]. Per contro, dai dati raccolti da Unobravo –piattaforma di psicologi online–, nel primo quadrimestre di quest’anno, il numero di persone che esprimono difficoltà nel contesto lavorativo è cresciuto del 109,7% rispetto al medesimo periodo del 2023[2].
    Ciò ci porta a poter affermare che produttività non vuol dire per forza lavorare meglio.
  • L’assenza o lo scollegamento tra Azienda e Valori. I Valori dovrebbero guidare strategie per poi proseguire verso l’operatività di tutti i giorni: soprattutto in un tessuto industriale come quello italiano questa associazione risulta assente, carente o presente solo su carta senza essere veramente messa in pratica. Anche nelle grandi realtà si trovano forti contraddizioni in questo senso, portando ad un approccio alle volte poco credibile, soprattutto in campo sostenibilità ambientale (l’acquisto di crediti per compensare le emissioni inquinanti è solo un esempio di questa contraddizione).
  • Lo sviluppo tecnologico e le competenze umane. Sembra paradossale ma al crescere di nuove tecnologie –in ultima l’Intelligenza Artificiale– le Persone con forti competenze saranno sempre più difficili da individuare e trattenere.

Tale modello ignora il benessere e le reali condizioni di vita degli individui.
Questo scollegamento tra produttività e qualità di vita delle Persone mette in evidenza l’urgenza di un cambio di mentalità e la necessità di adottare dei modelli economici che promuovano degli ambienti di lavoro “capacitanti”, dove le Persone possano esprimere e sviluppare le loro abilità.

 

Il Capabilities Approach di Amartya Sen e Martha Nussbaum

Amartya Sen –economista, filosofo e docente universitario nato in India nel 1933–, ha sviluppato il Capabilities Approach: un approccio che pone la Persona al centro del dibattito economico, politico e sociale.
Questo modello valuta il benessere umano basandosi sulle capacità delle Persone di “essere e fare ciò che hanno motivo di desiderare”. All’interno di tale framework, il “successo” di una Nazione o di un’Azienda è valutato in base alla capacità dei suoi cittadini o dei suoi collaboratori di vivere vite che considerano significative.
Sen distingue tra capacità e funzionamenti. Questi ultimi rappresentano ciò che una Persona può fare o diventare come “risultato”; le capacità, invece, sono le opportunità che essa ha di fare propri quei funzionamenti che desidera, in termini di abilità interne e di condizioni socio-politiche ed economiche in cui vive.
Da qui emerge l’importanza tanto dei fattori interni alla Persona quanto di quelli esterni. Tra quelli esterni vi sono i contesti, le situazioni, gli ambienti in cui la Persona è inserita, che dovrebbero essere “capacitanti”, cioè in grado di permetterne l’espressione e lo sviluppo delle capacità interne.
In sintesi, mentre i funzionamenti rappresentano il conseguimento, il risultato raggiunto, le capacità indicano le abilità e le potenzialità per raggiungere quei risultati.

A differenza del PIL, che fornisce una misura quantitativa e univoca dello sviluppo di un Paese, il Capabilities Approach offre una valutazione qualitativa e multidimensionale del benessere umano. Sen, infatti, ritiene che il benessere di un paese non possa dipendere esclusivamente dal possesso di risorse, ma da ciò che le Persone sono in grado di fare con queste risorse.

Martha Nussbaum, filosofa e collaboratrice di Sen, ha ulteriormente sviluppato il Capabilities Approach, delineando una lista di dieci capacità centrali, che dovrebbero essere garantite a tutte le Persone per permettere loro di vivere vite dignitose, piene e soddisfacenti:

  • vita,
  • salute fisica,
  • integrità fisica,
  • sensi, immaginazione e pensiero,
  • emozioni,
  • ragion pratica,
  • unione,
  • vivere in relazione con altre specie (animali e naturali),
  • gioco,
  • avere il controllo sul proprio ambiente politico e materiale.

Questo approccio multidimensionale alla valutazione del benessere umano sposta l’attenzione dalla semplice crescita economica alla realizzazione delle potenzialità individuali, promuovendo un modello di sviluppo che valorizza la dignità e l’autorealizzazione delle Persone.

 

Oltre il PIL

Per iniziare a fare dei ragionamenti ci si potrebbe guardare attorno per trovare attuali strumenti che cercano di implementare, oltre alla metrica del profitto economico, metriche di sostenibilità e di rilevanza sociale. Quelli più noti sono:

  • Triple Bottom Line (TBL), originariamente sviluppata dalla Commissione Brundtland in Europa il termine fu poi reso noto dall’attivista ambientale John Elkington nel libro “Cannibals with forks: Triple Bottom Line of 21st Century Business”. Dimensione economica, sociale e ambientale significa avere tre aree interconnesse che in egual modo partecipano allo sviluppo e alla crescita di un’organizzazione;
  • Human Development Index (HDI): è un indicatore che misura il progresso delle Nazioni in termini di sviluppo umano, considerando tre dimensioni: l’aspettativa di vita alla nascita, l’istruzione e il tenore di vita.

Dall’HDI è nato il Gender Development Index (GDI), che misura le disparità di genere in termini di sviluppo umano nelle tre dimensioni elencate.

  • United Nations Global Compact, un’iniziativa su base volontaria per incorporare all’interno delle organizzazioni una serie di valori cardine quali diritti umani, standard che riguardano lavoro, ambiente e anticorruzione;
  • Benefit corporation, è una forma societaria che, oltre al perseguimento dell’utile finanziario, lega le performance aziendali a benefici nelle aree sociali ed ambientali.

 

Conclusioni

Recentemente è stato condotto un sondaggio[3] da IPSOS –leader mondiale nelle ricerche di mercato– per conto di AON –azienda leader nei servizi professionali a livello mondiale– in cui, tra i tanti dati raccolti, emerge che circa la metà delle realtà aziendali sottoposte al sondaggio non hanno una vera e propria strategia riguardo le tematiche di benessere dei dipendenti.
Le Aziende, quindi, rimangono ancora molto legate all’unico indicatore finora considerato per valutarne le performance, ossia quello finanziario.

Integrare i principi visti in questo articolo nei modelli aziendali e nazionali potrebbe rappresentare una svolta significativa verso una società più equa e sostenibile, dove il progresso è misurato non solo in termini di ricchezza materiale, ma anche di qualità della vita e benessere complessivo.

Abbracciando il Capabilities Approach, possiamo lavorare verso un futuro dove il progresso economico e il benessere umano vanno di pari passo, creando una società realmente prospera e inclusiva.

 

Articolo scritto a 4 mani, in collaborazione con Lorenzo Andrioli

 

 

Riferimenti bibliografici

Nussbaum, M. Women and Human Development: The Capabilities Approach. Cambridge University Press, 2000.

Sen, A. Development as Freedom. Oxford University Press, 1999.

 

[1] https://www.istat.it/comunicato-stampa/il-mercato-del-lavoro-i-trimestre-2024/

[2] https://www.unobravo.com/dati/burnout-in-italia-lanalisi-di-unobravo

[3] https://www.aon.com/global-wellbeing-survey.aspx?utm_source=PR&utm_medium=Article&utm_campaign=EB-Outreach

Sull’autore Alessia Bergamin

Giovane consulente con background umanistico. Il suo obiettivo professionale è quello di trasformare ogni organizzazione in un luogo di crescita continua, dove il lavoro serve non solo a nobilitare, ma anche a educare e arricchire ogni individuo.